Intervento chirurgico più invasivo di quello programmato: risarcimento per il paziente

Applicato il principio del dissenso presunto del paziente in relazione a tutto ciò che si pone al di là e al di fuori dei trattamenti medico-chirurgici che abbia acconsentito a vedere effettuati sul proprio corpo

Intervento chirurgico più invasivo di quello programmato: risarcimento per il paziente

A fronte di un intervento chirurgico diverso e più invasivo rispetto a quello programmato e concordato col paziente, ed eseguito in assenza di una situazione di urgenza, opera il principio del dissenso presunto del paziente in relazione a tutto ciò che si pone al di là e al di fuori dei trattamenti medico-chirurgici che abbia acconsentito a vedere effettuati sul proprio corpo. Questa la posizione assunta dai giudici (ordinanza numero 1443 del 21 gennaio 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame una domanda di risarcimento per danno alla salute e per violazione del diritto all’autodeterminazione, domanda proposta da una che era stata sottoposta ad un intervento chirurgico diverso e più invasivo rispetto a quello programmato, e quindi non autorizzato né giustificato da una ipotesi di urgenza. A rendere più grave la situazione, poi, secondo la donna, il fatto che l’intervento non aveva prodotto alcun miglioramento ed anzi aveva avuto esiti peggiorativi su di lei, tanto da rendere necessario un secondo intervento demolitivo, quattro anni dopo, presso un diverso ospedale. In generale, non grava sul paziente, precisano i giudici, l’onere di provare che, ove fosse stato informato del più complesso intervento, non vi avrebbe consentito, ma è a carico della struttura sanitaria l’onere di provare che il paziente avrebbe dato il consenso al diverso e più invasivo intervento, pur non necessitato dall’urgenza. Possibile, quindi, il risarcimento richiesto dalla donna per lesione del diritto all’autodeterminazione. Smentita in Cassazione la visione dei giudici di merito, i quali, accertato che effettivamente la paziente non era stata informata che, in luogo del programmato intervento, sarebbe stato eseguito il ben più invasivo intervento di fatto portato a termine dai medici, hanno ritenuto non provato che la donna, ove fosse stata informata dell’intenzione dei medici di eseguire l’intervento più invasivo, ovvero di asportarle la cistifellea e un’ampia parte dello stomaco, avrebbe rifiutato il suo consenso.

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